E adesso che ho finalmente tempo, che cosa me ne faccio?

Da anni, quando chiedo ai miei pazienti che si lamentano di non avere tempo per se stessi, che cosa vorrebbero fare in quel tempo che sentono essere sottratto al loro benessere a causa del lavoro pressante, della burocrazia farraginosa, delle incombenze quotidiane, delle continue richieste della scuola e dei figli scarsamente autonomi, mi sento rispondere con una lista di cose interminabile che va dalla palestra al corso di cucina, passando dalla Spa alla vacanza ai Caraibi, attraverso un weekend enogastronomico, condito di yoga e meditazione con un pizzico di tantra dal sapore filosofico, per finire con cena a lume di candela e lettura dell’ultimo saggio di fisica quantistica, così interessante e complesso da richiedere quel livello di attenzione così alto e perciò impossibile da tenere dopo una giornata così stressante come quelle trascorse negli ultimi due anni.

Lo sentite il ritmo incalzante? Ho già l’ansia solo avendolo scritto.

Pausa, facciamo una pausa e un bel respiro.

Che effetto fa tutto questo?

Forse c’è bisogno di rifletterci un po’ su.

Abbiamo messo l’asticella troppo alta, haimè me lo diceva sempre il mio babbo! e ci siamo trovati con il fiato corto, troppo corto per poter saltare, impaludati nell’illusione di un altrove pluristellato e irraggiungibile ci siamo preclusi la possibilità di coltivare i piaceri più semplici, i piccoli gesti quotidiani, ci siamo fatti distrarre, abbindolare da messaggi e immagini fuorvianti mentre ciò che avevamo sotto il naso ogni giorno è passato costantemente inosservato.

E così arriviamo al dunque.

Il tempo ci ha messo in standby, sì, proprio quella funzione del telecomando che usiamo quando dobbiamo andare a fare la pipì e non vogliamo perdere neanche un attimo del film che stiamo guardando!

Pausa. Una pausa che non abbiamo schiacciato noi, è arrivata dal virus, dal pianeta, da Dio, dalla natura, dagli angeli, dai demoni, dai pipistrelli, dal paziente zero, dai ricercatori, dalla follia dei governi, non importa, da qualche parte è arrivato e il telecomando ce l’ha Lui.

Restiamo esterrefatti di fronte all’impossibilità di schiacciare play, e, dopo aver cercato invano di far ripartire la scena, siamo costretti a fare contatto con l’impotenza e la frustrazione di non poter decidere autonomamente sul da farsi.

Rimaniamo interdetti. Il primo passo è l’incredulità, lo stupore, – “sta succedendo davvero a me o sto sognando?”, “ma che film è questo”?.

Accompagnati dalla paura e dal desiderio di “capirci di più” la mente prende il sopravvento, le redini del comando e cerca attraverso percorsi logici di risalire al punto di partenza. Cause ed effetti, determinismo, giusto e sbagliato, vero e falso, si ricostruiscono i fatti.

La realtà ci rimanda che non siamo in grado di stare nell’impotenza. Cerchiamo disperatamente soluzioni, possibilmente rapide. Ci rendiamo conto di quanto poco conti il nostro vissuto ma, nonostante questo, rimaniamo ciechi e continuiamo a pensare mettendo davanti l’individualità e il nostro personale tornaconto. La rabbia sopraggiunge quando il desiderio di schiacciare play viene frustrato per l’ennesima volta. Manca il telecomando.

Ci viene chiesto di mettere davanti i più fragili, i più deboli, di rimanere in quel tempo sospeso per proteggere l’altro. Ma è difficile allargare lo sguardo comprendendo l’altro, la collettività. Da troppo tempo non siamo più abituati a farlo. Un Io narcisista troppo nutrito svetta davanti a tutto e tutti.

Così, continuando a lungo a dimenarci nella palude fra colpi di coda e richieste strampalate, le forze iniziano a calare per dar spazio alla resa. Una resa che ha il sapore del dolore, della paura e della tristezza.

Finalmente ci fermiamo. Ah, che dolce sollievo!

Possiamo ascoltare ma anche sentire, guardare ma soprattutto iniziare a vedere. E come per incanto si aprono intorno a noi nuovi scenari.

Lo schermo spento della TV lascia fiorire nuovi colori, nuove relazioni, nuovi interessi e la creatività ritorna ad avere uno spazio insieme alla ragione.

Finalmente possiamo incominciare ad immaginare un nuovo orizzonte. Questa volta è fatto di cose vicine, a portata di mano, che vivono all’interno di una dimensione del possibile.

A questo punto si può rispondere alla domanda iniziale.

“E adesso che ho finalmente tempo che cosa me ne faccio?”

Ognuno di noi è chiamato ad assumersi la responsabilità di questo tempo, così da renderlo il miglior tempo della sua vita, ognuno con la sua storia alle spalle, con il suo stile che si rivela nello splendore dell’unicità, ognuno con quello che può. Ma non sprechiamolo questo tempo che ci è concesso, non troviamoci a dover rimpiangere un’altra volta ciò che avevamo a portata di mano e che non abbiamo voluto guardare.