Gestisci lo stress in campo con la Gestalt

Gestisci lo stress in campo con la Gestalt

Che cosa significa lavorare con un tennista da un punto di vista gestaltico?

Certamente riuscire a vedere il gioco nel suo insieme, in modo olistico, immerso in un contesto, in un campo d’azione, e considerare la relazione fra i due giocatori nel qui e ora, una relazione io-tu carica di emozioni da gestire punto dopo punto.

Ma è sufficiente saper gestire le emozioni per ottenere buoni risultati e giocare con soddisfazione? Come mai i nostri tennisti italiani sono molto forti da bambini, ottengono risultati strepitosi fino all’adolescenza e poi quasi tutti cedono, il livello si abbassa e mollano? Che cosa manca per andare avanti in una carriera professionistica di successo? O anche, che cosa c’è di “troppo”?

Questo mi chiedo.

Da più di dieci anni mi occupo di tennis. Dapprima come semplice spettatrice di mio marito, che gioca in una buona serie C per passione e diletto, condividendo con gli amici gioie e dolori di un campionato a squadre molto sentito.

Come madre di mio figlio, che gioca fin da piccolissimo a livello agonistico con ottimi risultati e da qualche anno anche come psicologa seguendo e sostenendo gli agonisti durante i tornei o i centri estivi di perfezionamento, lavorando sulla gestione delle emozioni. 

Sono diventata da poco tempo “Tennis mental coach” e seguo giocatori agonisti. La domanda a cui cercherò di dare risposta in questo articolo è come fare a sostenere i tennisti utilizzando un approccio fenomenologico esistenzialista di matrice gestaltica.

La percezione del gioco: che cos’è per me il tennis?

Per lavorare con i tennisti e riuscire a mettermi nei loro panni, capire cos’è per loro il gioco del tennis mi sono chiesta prima di tutto che cosa sia per me.

Rimango ore e ore fuori dal campo a guardare i ragazzi che si affrontano in una sorta di duello sancito da regole che loro stessi devono far rispettare, in quanto nei tornei “under” ognuno è giudice della sua metà campo, e su quella metà prende le decisioni che l’avversario, se pur con un margine di contrattazione, deve accettare. Seguo allenamenti, tornei, trasferte di grandi e piccoli, con grande passione. Cos’è stato che mi ha fatto appassionare così tanto a questo sport, senza mai avere giocato?

Che sapore ha tutto questo per me?

Come posso aiutare i ragazzi a gestire le loro emozioni se non ascolto prima di tutto l’effetto che fa a me stando lì a guardarli quando si affrontano?

Che cosa sento io mentre giocano?

Le prime impressioni che mi arrivano possono essere rappresentate con queste parole: adrenalina, passione, competizione, performance, illusione, delusione, vittoria, gioia, rabbia, frustrazione, riconciliazione, auto celebrazione, narcisismo, crescita, vita.

Mi chiedo quali siano le parole di chi gioca e lo chiedo a mio marito e a mio figlio.

Rimango a bocca aperta quando mio figlio, che allora aveva dieci anni, a cui avevo chiesto di dirmi alcuni aggettivi con i quali definirebbe il tennis, mi risponde senza troppa esitazione: 

“emozionante, logico, penetrante, cerebrale, sportivo e performante”.

Ora, considerando lo scarso interesse dimostrato nei confronti dello studio della lingua italiana, trovo alquanto curiosa questa ricchezza espressiva, che mi permette, una volta ripresa dall’emozione di constatare che il suo talento tennistico e’ accompagnato da una certa dose di consapevolezza cognitiva al riguardo, di addentrarmi nei meandri di un mondo per me fino a pochi anni fa totalmente inesplorato e di riflettere sulla base della sua/mia esperienza.

Sono in treno, approfitto per porre la stessa domanda a mio marito, il quale, anche lui senza esitazione, mi colora un tennis “avvincente, geometrico, duro, liberatorio, spietato”.

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